“Ho sempre affermato che i luoghi sono più forti delle persone, la scena fissa è più forte della vicenda. Questa è la base teorica non della mia architettura ma dell’architettura; in sostanza è una possibilità di vivere” – Aldo Rossi
Aldo Rossi nasce a Milano nel 1931. Nel 1949 si iscrive alla facoltà di Architettura del Politenico di Milano, presso cui incontra Ernesto Nathan Rogers che lo avvia alla collaborazione con la rivista “Casabella” (1950-1964).
Laureatosi nel 1959, già dall’anno precedente Rossi inizia il proprio apprendistato negli studi di Ignazio Gardella e Marco Zanuso e partecipa alla redazione delle riviste “Società” e “Il Contemporaneo”.
Al 1960 risale la sua prima partecipazione alla Triennale di Milano: durante la XII edizione, è membro della commissione di studi sulle periferie urbane (tema che sarà sempre particolarmente caro all’architetto milanese) e presenta un progetto per la ristrutturazione parziale dello Scalo Farini.
La sua lunga attività accademica inizia negli anni Sessanta, prima come assistente (alla Scuola urbanistica di Arezzo, con Ludovico Quaroni; allo IUAV di Venezia, con Carlo Aymonino), quindi come professore incaricato al Politecnico di Milano (1965). In seguito, insegnerà anche al Politecnico di Zurigo, oltre a tenere lezioni in Giappone e negli Stati Uniti. Significativo negli anni Sessanta il rapporto con la Spagna e gli architetti catalani, in particolare con Salvatore Tarragò.
Di quegli anni è anche la sua prima pubblicazione, “L’architettura della città” (1966), primo di una serie di importanti saggi sulla morfologia urbana ed opera chiave per comprendere il pensiero progettuale di Rossi. Precedute da personali ricerche su tutti gli aspetti culturali urbani, le opere architettoniche di Rossi intrecciano memoria collettiva e sensibilità dell’autore.
Tra il 1968 e il 1973, Rossi lavora a una delle opere più importanti della sua carriera: l’unità residenziale “Monte Amiata” al quartiere Gallaratese, il cui masterplan è opera di Aymonino. Disegna un lungo edificio – sviluppato lungo un fronte di 182 metri e una profondità di 12 – che è adibito ad alloggi popolari e che nega il rapporto con il contesto periferico in cui s’inserisce, ritenuto privo di qualunque valore. Ponendosi come luogo d’aggregazione sociale, il blocco di Rossi affonda le proprie radici nella tradizione residenziale rurale – a cui rimandano elementi come il ballatoio e il portico del piano terra – ma il disegno dei singoli appartamenti è di matrice prettamente funzionalista.
Attivamente coinvolto in collaborazioni con molte università internazionali (tra cui l’ETH di Zurigo, l’Institute for Architecture and Urban Studies di New York, la Cooper Union, la Cornell University), Rossi partecipa anche alle Biennali di Venezia e firma, nel 1978, il “Teatrino Scientifico”: un piccolo padiglione galleggiante, in legno e lamiera, che ospita un palco a scena mobile e che viene concepito come una sorta di macchina per esperimenti architettonici.
Grazie alle sue opere, è il primo architetto italiano a ricevere il prestigioso Pritzker Architecture Prize nel 1990.